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Lo dicevo l’altro giorno (vedi il post precedente) che il solo modo che avesse un senso per festeggiare il tricolore, in quest’Italia assassinata e presa a tradimento, era quella di sedersi attorno ad una tavola per provare a sentirsi finalmente uniti attraverso il cibo e il vino. E così hanno fatto, anche se con due giorni di ritardo ma non importa, i due protagonisti del Vecchio Carnera (Albino Armani e Giuseppe Tognotti), che sabato scorso, fra bandiere, bottiglie di vino e tanto altro, hanno radunato a Maso Michei, in Valle dei Ronchi, un bel pezzo del mondo enoico, e non solo, del nord – est. La fotocronaca di questo incontro ce l’ha fatta il blog di Aristide che invito a visitare.


di Cosimo Piovasco di Rondò -Dicono che oggi sia festa. Nazionale. E io dico subito che, per tante ragioni, tutta questa retorica patriottarda di bandiere e bandierine tirate fuori dalla Unità d’Italia – di Tomaso Marcollanaftalina per un giorno e destinate, da domani, a tornare nel cassetto, non mi appassiona affatto. Del resto abbiamo sotto gli occhi un’Italia a pezzi e profondamente divisa, al limite dello spappolamento. E non solo fra nord e sud: è il concetto stesso di unità a non tenere, oggi, forse, molto più di 50 anni fa. E quella di questo 17 marzo 2011 mi sembra una celebrazione che assomiglia più al riflesso condizionato di un Paese agonizzante che prova inutilmente, e senza fantasia, a sfuggire al rigor mortis, che non alla rappresentazione di un sentimento collettivo condiviso. Sarà anche che sono figlio di una generazione educata all’internazionalismo di classe, piuttosto che all’identità nazionale. Sarà questo, e tanto altro, ma proprio non riesco ad emozionarmi né a trovare una buona ragione, oggi, per festeggiare qualcosa che non c’è, se non sulla carta. In un Paese che parla la stessa lingua solo grazie all’omogeneizzante alfabetizzazione televisionista degli anni Sessanta che ha massacrato le identità particolari e ci ha imposto una lingua comune, con la quale tuttavia, se non per soddisfare le esigenze omologanti del mercato, non sappiamo cosa dire e cosa comunicare. Sono un pessimista? Sono uno sfascista? Sono un vetero-ideologico? Sono un cretino? Non lo so. Comunque l’Unità d’Italia, alla fine, ho trovato un modo per festeggiarla anch’io. A tavola e con il vino. Che forse è l’unico modo per tenersi, e sentirsi, uniti, al di là di un Paese inventato e di una lingua che non c’è. O quasi. Per questo postiamo la ricetta che oggi ci regala una grande amica, mia e anche di questo blog, che vive nel Salento: uno dei luoghi più incantevoli del Paese e forse del mondo. Ecco, forse questo 17 marzo ha un senso perché l’Italia unita consente anche a noi figli delle Alpi di sentirci, almeno un poco, parte di un luogo mitologico come quella lingua di terra che si estende vertiginosamente su tre mari, fra Ostuni e Santa Maria di Leuca.

Ma ora basta con i discorsi noiosi. Eccovi la ricetta di Paola – Viola Violante d’Ondariva (chissà perché…), introdotta da un suo breve raccontino visionario.

 Il viaggio onirico di una Cernia

di Viola Violante d’Ondariva – Una volta ho sognato un mare di infinita grandezza; forse era un oceano. Io lo sorvolavo, planando leggera; dall’alto riuscivo a vederne tutto il fondale! Una meraviglia. Tutto ad un tratto questo oceanomare ha cominciato a cambiare forma e a diventare sempre più piccolo; mutava di colore, e di densità fino a diventare color paglierino. Profumava. Ricordo ancora l’acquolina in bocca. Mi sono trattenuta dal tuffarmici e farmi inghiottire. Sembrava vino bianco; era vino bianco! Mi sono accorta poi, che tutto questo ben di dio era contenuto in una flute, di quelle di cristallo scintillante. Mi sono accorta, poi, che all’interno di questo calice una cernia nuotava tranquilla e indisturbata…Non ho fatto in tempo a stupirmi che il bicchiere ha subito cambiato forma: era diventato una piscina olimpionica, in cui la cernia faceva i 200 mt coi colori dell’italia; poi scarpa da ginnastica, cernia podista; poi beauticase, cernia estetista; poi pirofila, cernia al vino. Mi sono subito svegliata e prima che la forma mutasse ancora ho acceso il fornello…


La ricetta del Pesci cu lu mieru  (Pesce al vino)

Ingredienti

Quattru pizzetti ti pesci friscu (cernia o tunnu) ti 200 gr a pitunu

4 tranci di pesce fresco (cernia pesce spada o tonno) di circa 200 g l’uno

Na menza buttijia ti mieru biancu profumatu (tipu lu Bagnara ti “Cantini do Palmi” )

1/2 bottiglia di vino bianco profumato (tipo un Muller – Thurgau Maso Michei)

 

25 gr ti burru

25 g di burro

Lu succu ti mienzu limoni

il succo di mezzo limone

na francata ti pitrusinu tritatu

un mazzetto di prezzemolo tritato

pipi biancu macinatu

pepe bianco appena macinato

sali

sale

 

Preparazione

llava e ‘ssuca lu pesci, mintulu ‘ntra ‘na pirofila china ti burru e minti lu sali e lu pipi macinatu ti picca tiempu

Lavare e asciugare il pesce, disporlo in una pirofila leggermente imburrata e cospargerlo con sale e

pepe appena macinato.

Mmuccia paru paru cu lu mieru biancu e fallu cociri a fuecu iu pi cinqu’ minuti senza lu tampagnu, facennu sprisciri lu mieru

Coprire a filo con il vino bianco e farlo cuocere a fuoco vivace per cinque minuti circa a teglia

scoperta, facendo evaporare in parte il vino.

Ota lu pesci, stringiri nu picca ti limoni, ‘mmucciari la teija, mintila ‘ntra lu furnu cautu e fani cociri pi na bona menzuretta.

Rigirare il pesce, spruzzarlo con poco succo di limone, coperchiare la teglia, metterla nel forno già

caldo e fare cuocere per circa trenta minuti.

Minti lu pitrusinu e porta subitu an taula.
Cospargere con prezzemolo finemente tritato e servire subito.

Ci lu sucu eti ‘ssai, minti li patani lessi cu si lu ‘mbianu

Nel caso il fondo di cottura fosse troppo abbondante, servire con patate lesse che lo assorbiranno