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Divide et impera

Pubblicato: aprile 19, 2011 in Scortesie
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Nemmeno oggi arrivano buone notizie dal fronte dello scontro che si sta consumando all’interno del mondo del vino trentino. La cattiva notizia, tanto per cambiare, arriva dai soggetti istituzionali, dall’assessorato all’Agricoltura e dalla Camera di Commercio, che ieri hanno deciso di confermare la rassegna enologica del Buonconsiglio. Accompagnando questa decisione (legittima) con l’annuncio che, comunque, alla 75° Mostra del Vino Trentino parteciperanno cinquanta aziende di cui venti vignaioli indipendenti, in libera uscita rispetto alle decisioni assunte all’unanimità dall’assemblea plenaria dell’associazione di Balter. Un annuncio che ha il sapore minaccioso della prova di forza. Non sappiamo se i “venti” dissidenti ci siano davvero, Dalpez (quello che qualche mese fa sentenziava che i nostri cugini altoatesini “sono ottimi promotori di prodotti mediocri”) e Mellarini (quello che ancora oggi suggerisce di “fare squadra”), si sono ben guardati dal fare nomi e cognomi. Ma questo non importa. Quello che importa, invece, è altro: i soggetti istituzionali sono caduti di nuovo nella trappola della prova di forza. Invece di scegliere la via del dialogo e della negoziazione (perché quando qualcuno protesta magari uno straccio di ragione potrebbe pure averla), invece di riappropriarsi di una posizione attiva di neutralità fra le parti (perché questo è il ruolo della politica nella gestione del conflitto), hanno deciso di adottare il metodo infallibile (?) ma cruento del “divide et impera”. Anche se, naturalmente – come direbbe l’assessore all’Agricoltura – l’obiettivo rimane l’unità del mondo del vino trentino e la capacità di fare squadra. Ma questo, appunto, un obiettivo, buone intenzioni per il futuro. Intanto, nel presente, si va avanti così, dividendo e dimezzando le squadre degli altri.

La rottura fra il mondo dei vignaioli, da una parte, e l’impresa cooperativa (il 90 % della produzione vitivinicola provinciale) e l’assessorato all’Agricoltura, dall’altra, aperta due giorni fa dalle dichiarazioni con le quali Nicola Balter, presidente dei produttori indipendenti, ha annunciato la volontà della sua associazione di disertare la mostra dei vini trentini (in calendario dal 20 al 23 maggio), questa rottura, dicevo, tutto sommato potrebbe anche trasformarsi in un’opportunità. Se sarà confermata, ovviamente, produrrà un danno di immagine, ma anche economico, per tutti: per i vignaioli, per la cooperazione, per il Trentino. Un salone del vino, destinato soprattutto a convincere il consumatore finale di oltre provincia, imperniato esclusivamente sulle bottiglie di Lavis, Cavit e Mezzacorona, e mutilato delle bottiglie dei vignaioli (50 aziende che fanno la qualità del brand trentino), avrebbe un irresistibile sapore di ridicolo a cui non voglio nemmeno pensare. E tuttavia, questo passaggio, intriso di difficoltà e di rischi, potrebbe anche trasformarsi in un’opportunità. Provo a spiegarne le ragioni: i vignaioli hanno posto sul tavolo dell’assessorato, e indirettamente su quello della cooperazione, un tema serio, che vale la pena approfondire. E’ un tema di metodo ma anche tema di sostanza. Si tratta di capire quale ruolo, e quale peso, debbano avere i diversi soggetti della produzione e della commercializzazione nella fase in cui si cerca di definire il profilo che il sistema vino nel suo complesso dovrà assumere nei prossimi anni. La famigerata Consulta del Vino di cui si parla, casus belli della rottura di questi giorni, a questo dovrebbe dedicarsi. Ma allo stesso tempo si tratta anche di capire quale ruolo, dentro questo percorso, debbano avere la politica e le istituzioni, che, non dimentichiamolo, ci mettono i soldi, tanti soldi. Se ancora non sappiamo, lo capiremo al termine di questo percorso, quale dovrà essere il ruolo e il peso dei soggetti produttori, è più facile invece definire sin da ora quale debba essere il ruolo di queste ultime, politica e istituzioni. A cui non si può non chiedere l’assunzione di un ruolo di neutralità e di equidistanza attiva dalle parti in gioco: federazione e produttori indipendenti prima di tutto. La sensazione, peraltro già piuttosto consolidata nell’opinione pubblica trentina, che piazza Dante patisca di una subalternità strutturale, e a tratti perfino patologica, dalla federazione delle coop, non fa bene né alla politica, né all’impresa cooperativa. Tanto meno all’immagine del Trentino. In questa fase, Mellarini dovrebbe fare, e inventarsi, di tutto per non accreditare ulteriormente questa interpretazione che ingenera dubbi e semina equivocità. Ma che, soprattutto, mina la sua autorevolezza e lo rende meno credibile e quindi meno convincente. La reazione muscolare (“Io tiro dritto per la mia strada anche a costo di annullare la Mostra”) con la quale oggi l’assessore ha risposto alla provocazione dei vignaioli, purtroppo però non mi sembra vada in questa direzione. Le prove di forza, l’esibizione dei muscoli, sono l’ultima cosa di cui il Trentino, e questo settore in particolare, hanno bisogno in questo momento. In politica, però, per fortuna non è mai troppo tardi. Questa, per Mellarini, potrebbe trasformarsi in un’occasione, non dico irripetibile ma di sicuro importante, per dimostrare di possedere davvero la stoffa del politico di rango. Ed avere la stoffa, questa stoffa, significa, in certi casi, anche avere il coraggio di fare un passo indietro, di tornare a discutere con gli interlocutori per rinegoziare una scelta che appare essere, o almeno così viene percepita, fondamentale per il futuro del settore. Magari per riuscire a convincerli (difficile), magari per riposizionare il suo ruolo, e quello della politica, su un terreno di equidistanza creativa rispetto a due soggetti che ora fanno fatica perfino a riconoscersi. Il che farebbe bene, prima ancora che al vino trentino, alla salute delle istituzioni e della politica. E anche a quella dell’assessorato all’Agricoltura.